Protagonisti

Il libraio in fondo alla città

Sono trascorsi tanti anni da quando nel 1984 a Napoli aprii la libreria. La prima sede era in un piccolo locale in via Donnalbina 22.

Alcuni anni dopo, nel 1988, affiancai alla vendita dei libri l’attività editoriale, riprendendo il modello di libreria-editrice, che alla vendita unisce una quota di produzione propria della quale è responsabile.

Mi ha molto ispirato il modello di libreria-editrice immaginato dall’“editore ideale” Piero Gobetti. Il suo progetto partiva da un percorso contrario: l’editore nel suo caso diventava libraio, seguendo la libreria aperta a Firenze dal gruppo de “La Voce”, che il povero Piero non poté realizzare…

Ho brevemente ricostruito la mia storia di libraio “ideale”.

Ma racconterò per sommi capi quella reale invece, quella trascorsa in questi anni, circa trentasette, quando è totalmente cambiato il mondo dei libri e dell’editoria. Allora non c’erano le librerie di catena, con le loro strategie di concentrazione e razionalizzazione economico-produttive prima, e i kartell economico-finanziari dopo, che hanno, a mio avviso, prefigurato e probabilmente inaugurato il modello del pescecane Amazon.

La libreria, prima del loro irrefrenabile avvento, aveva una posizione centrale nel mondo del libro. La professione del libraio era all’insegna della competenza e della conoscenza e o c’era un gran numero di distributori e agenti di vendite degli editori diffusi e collegati sul territorio.

Oggi che tutto è cambiato occorre una strategia di sopravvivenza: limitare le spese fisse, cercare di riuscire a vendere libri dalla trincea dell’esperienza e nei limitati spazi lasciati liberi dalla pervasività dell’occupazione totale dei megastore: librerie di catena, filiazioni di editori e store di vendite attraverso la rete.

Al tempo dell’epidemia mondiale avverto un interessante controtendenza, registro con gioia il fenomeno del ritorno alla ricerca del rapporto umano tra lettore e libraio. Non tanto tempo fa, infatti, c’era il libraio di fiducia, quello al quale si chiedeva un consiglio o un aiuto nella scelta di un libro, di un regalo.

Oggi il libraio ha una vetrina dialettica: da una parte c’è il social e le vendite online e dall’altra il libraio in carne e ossa, che deve riuscire a vendere libri offline, dove il moloch che vuole tutto non sa e non riesce ad arrivare.

La mia libreria nel 1992 cambia indirizzo, si allarga e si sposta in via Mezzocannone 75, ma adesso mi sono sistemato al numero 55 della stessa via, con un fitto meno caro. Tutti si chiedono perché ho dato il nome Libreria Dante & Descartes alla libreria e alla casa editrice.

I due grandi stanno a simboleggiare, il primo, la letteratura, il secondo la filosofia, ma entrambi per me indicano pure l’apertura alla modernità. Sono letteratura e filosofia le due discipline dove mi muovo a mio agio, ma non disdegno né mi manca la curiosità per afferrare e comprendere altre discipline, altri libri. Sono attento e cerco di accontentare una storica clientela diventata nel tempo ampia quanto familiare. Quando ho iniziato, la gran parte del lavoro era rappresentata dalla vendita dei libri universitari; adesso, tra disamore per i libri e fotocopiatura fuori controllo da parte di molti studenti universitari, quel settore è diventato la parte minore delle vendite. Nell’insegna ho da sempre adottato come sottotitolo s il motto: “Libri perduti e ritrovati”, che sta a indicare la vendita di quella importante parte rappresentata dai libri rari ed esauriti, settore che col passare degli anni si è significativamente ampliato. Perché questi sono anni caratterizzati da un forte squilibrio nella tenuta dei cataloghi editoriali, tra le tantissime e continue proposte di novità c’è l’incapacità di tenere disponibili in commercio i classici o i libri di qualità.

Dal 2003 mi affianca mio figlio Giancarlo, con una sua libreria in piazza del Gesù Nuovo 14, che collabora, segue e persegue il mio lavoro librario ed editoriale con molta competenza, indipendenza e successo, rendendo vera l’antitesi al familismo, perché grazie alla sua capacità e attenzione posso dichiarare che l’arte partorisce, genera arte. Gli avevo sconsigliato di fare il libraio, perché è una bella professione costellata da alte maree di difficoltà. Poi ascoltandolo e vedendolo fare il libraio ho capito che durante il tempo di apprendistato dopo la scuola mi aveva rubato il mestiere e ho rafforzato la mia convinzione della sua buona indipendenza di giudizi su opere e scrittori che, se anche erano l’opposto dei miei, indicavano la sua capacità critica e allo stesso tempo quell’alchimia intellettuale e tattile che occorre avere per lavorare all’opera dei libri.

L’eccezionale e ispirato grande libraio-editore Ulrico Hoepli diceva: “Un buon editore deve essere prima di tutto un bravo libraio”. Facciamo seguire adesso all’esagerato preambolo del libraio ideale la storia dell’editore ideale, Dante & Descartes.

La prima pubblicazione fu Croce bibliofilo di Dora Marra con una noterella di Benito Iezzi; era una plaquette stampata al piombo, fuori commercio, in occasione del primo compleanno proprio di mio figlio Giancarlo. A volte è vero, il destino si alza prima di noi.

Naturalmente far l’editore, oltre che lavorare tanto in prima persona, significa avere un progetto culturale e valersi della collaborazione di una redazione: correttori di bozze, traduttori, fotografi, disegnatori, grafici, tipografi. Qui ricordo i principali collaboratori: Antonella Cristiani, Beatrice Vitelli, Giancarlo Di Maio, Vincenzo Esposito, Simonetta Capecchi, Daniela Pergreffi, Greta Paliotti, Roberto Ciop, Vittorio Avella, Sandro Barra, Alessandro Esse… Abbiamo cominciato a pubblicare un gran numero di libri universitari di qualità, che hanno trovato la loro giusta collocazione nelle biblioteche di studiosi e di università di ogni latitudine, come apprendo dalla loro presenza nelle biblioteche di mezzo mondo.

L’incontro con Erri De Luca e il prezioso primo dono di una sua opera da pubblicare aprirono con successo l’attività editoriale di varia. Nel tempo sono diventato il secondo editore per numero di titoli dell’amico fraterno Erri De Luca. La stessa cosa è avvenuta pure per uno tra i più grandi scrittori del secondo dopoguerra, l’amato “autodidatta di talento” Domenico Rea.

Ho avuto la fortuna di conoscere e diventare amico dell’editore in trentaduesimo, Vanni Scheiwiller, della casa editrice a All’insegna del pesce d’oro, così una volta, durante una chiacchierata telefonica, gli chiesi, col timore di essere inopportuno, se potevo stampare i libri nel piccolo formato (cm 7 x 5) della sua magnifica collana “a All’insegna della baita di Van Gogh”. Rispose che era un’ottima cosa ed era molto contento.

Spesso vengo chiamato ad acquistare biblioteche dismesse e ogni volta trovo abbandonati, dimenticati, piccoli libri, sembrano degli orfanelli. Così ho cominciato a raccoglierli. Nel corso degli anni sono diventato un collezionista con oltre tremila piccoli libri. Sono diventato un vero esperto, ho fatto mostre, ho scritto All’insegna del piccolo formato. Storie di libri piccoli, nani e minuscoli, ho compilato alcuni cataloghi dei libri di piccolo formato. Da editore ho pubblicato circa sessanta libretti in trentaduesimo. Che sono molto famosi, ricercati e collezionati. Precisiamo comunque che i libri sono giganti sempre a prescindere dalle dimensioni e dal formato.

Ho stampato tanti autori noti e sconosciuti, tutti avevano la necessità di essere pubblicati, alcuni hanno riscosso un grande successo, altri rappresentano un duraturo fiore all’occhiello.

Dal catalogo: Danilo Dolci, Un cosmo vivo, Michele Sovente, Zolfo lapillardente, Matilde Serao, L’Opale; Herve Guibert, La morte propaganda, Régis Jauffret, Giochi di spiaggia, Ramón Gómez de la Serna, L’uomo della Galleria, José Vicente Quirante Rives, L’Averno e il cielo, Ramon Miquel i Planas, La leggenda del libraio assassino di Barcellona, Erri De Luca, Napòlide, Altre prove di risposte, Lettere da una città bruciata, Tufo; Domenico Rea, Pensieri della notte, Re Pomodoro, Le due Napoli; Johann Wolfgang Goethe, I miei giorni a Napoli; Walter Benjamin, Asja Lacis, Napoli porosa; Jorge Carrion, I cani di Capri; Witold Gombrowicz, Su Dante, Jean-Paul Sartre, Spaesamento; Jack London, Rivoluzione; Jorge Luis Borges, Il mio primo incontro con Dante; Chandra Livia Candiani, L’Angelo teppistello… e nel dicembre 2019 Averno di Louise Glück, autrice alla quale nel 2020 è stato assegnato il premio Nobel per la Letteratura.

Completo il racconto con la storia di questo grande successo editoriale. Un giorno del lontano 2018 mi chiamò José Vicente Quirante Rives, filosofo, editore, insomma un grande di Spagna, un intellettuale che ama Napoli al punto da guadagnarne la giusta cittadinanza, e mi chiese se in Italia avevamo tradotto Averno di Louise Glück. Risposi che al momento non sapevo chi fosse e me ne sarei interessato. Qualche giorno dopo arrivò il libretto tradotto in spagnolo con il testo americano a fronte. Antonella e io cominciamo a leggerlo e ci incantammo. Intanto con José si era deciso di pubblicarlo assieme, un’edizione partagée (formula nata alle origini dell’invenzione della stampa, quando più editori si mettevano insieme per dividere costi e benefici) e comprammo i diritti d’autore. Cominciammo le prove di traduzione e dopo più prove chiamammo il traghettatore di tanti versi americani e inglesi in lingua italiana: l’emerito professore Massimo Bacigalupo e cominciammo a progettare il testo. José Vicente Quirante Rives scrisse una meravigliosa Postfazione; poi occorreva pensare alla copertina e chiamai Vittorio Avella che, prima di disegnare, lesse e rilesse le poesie e le commentò con noi e, con un po’ di ritardo, la solita fisarmonica del calendario editoriale, ci consegnò un fantastico disegno per la copertina, un’acquatinta che tirammo in 50 esemplari numerati e poi biffata.

Ai primi di dicembre 2019 uscì finalmente Averno; facemmo il servizio stampa: presso “Alias”, “Poesia”, “la Repubblica – Napoli”, e una prima presentazione a Milano, il libro riscosse un grande successo. Intanto però molti giornali non avevano recensito il volume. Allora facemmo un secondo invio di esemplari di Averno, mentre cadeva la tela dell’epidemia: poche copie vendute nelle nostre librerie e poche nelle altre librerie. Si sa, la poesia non ha mercato… Ogni tanto arrivava qualche richiesta. Fin quando si arrivò all’indimenticabile giornata dell’8 ottobre e verso l’una mi chiamò José Vicente Quirante Rives da Madrid e disse: Abbiamo vinto il premio Nobel.

Ci ho messo qualche secondo a capire e poi una grande, felice emozione, non riuscivo a telefonare a Giancarlo, tante chiamate, una prima folla si dispose in fila. Vedevo che erano giovani lettori chiamati dalla notizia che il premio Nobel per la Letteratura lo aveva pubblicato il libraio in fondo alla città.

Sono nato in un vico di Napoli, sono capace di affrontare ladri e puttane del piccolo porto cittadino, ma ho cominciato a ricevere chiamate da squali di alto mare: il primo voleva acquistare i diritti di traduzione; il secondo chiedeva di comprare tutte le copie della tiratura rimaste. Poi finalmente la rassicurante e civile chiamata di un libraio di Sulmona che chiedeva se potevo vendergli e come una copia richiesta da un cliente della sua libreria…

Poi c’è stata una Broadway di giornali, interviste, sviste, vendite, proposte di leggere manoscritti, poeti che scrivevano la notte… e qui chiudo. Grazie.

DUE INTERMEZZI

  1. Scrive Cesare Cantù nella “Conferenza XIV, Dei libri” in Buon senso e buon cuore. Conferenze popolari, quinta edizione milanese, Tipografia e Libreria Ditta Giacomo Agnelli, Milano 1891, 16°, pp. VIII-514:

« Si può aver letto molto, eppure essere incapaci di tutto, e principalmente di pensare e di adoperare il buon senso : si può sapere molto, ed essere malvagi, od almeno egoisti. La migliore educazione è quella che uno dà a sé stesso: studio profittevole è quello che ha uno scopo determinato, e a quello converge tutte le osservazioni, le riflessioni, le letture».

  1. Da uno di questi probabili scrittori e poeti che inviano speranzosi manoscritti traggo la seguente constatazione: «… Il tempo impietoso, ahimè, non favorisce bibliche attese da parte mia, né impiego di risorse economiche, così come, oggi, pretenderebbero alcune fameliche case editrici, le quali hanno mercificato brutalmente la Nobile Arte dell’intuizione dei veri valori letterari, dando in pasto al mercato “book-spazzatura” che forse mai nessuno leggerà!».

Raimondo Di Maio, Napoli, 4 Gennaio 2021.

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