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Le indimenticabili copertine di un’epoca: arte e vita di Enzo Mari

Le indimenticabili copertine di un’epoca: arte e vita di Enzo Mari. Una mostra a Milano fino al 18 aprile 2021.

Oggi vi parleremo di Enzo Mari, morto a fine ottobre di Covid all’eta di 88 anni: i suoi lavori sono attualmente in mostra – per chi potesse visitarla – nella grande personale a lui dedicata, dal titolo Enzo Mari curated by Hans Ulrich Obrist with Francesca Giacomelli, presso la Triennale di Milano che sarà aperta fino al 18 aprile 2021. La mostra documenta oltre 60 anni di attività dell’artista designer e propone anche contributi di artisti e progettisti internazionali contemporanei.

Per chi non lo sapesse Mari è universalmente considerato uno dei maggiori teorici del design italiano e mondiale, e grazie al suo talento ha collaborato con numerose industrie, nei settori della grafica, dell’editoria, del prodotto industriale e dell’allestimento mostre.

Ovviamente qui è per il suo contributo e opera nel mondo dell’editoria che ne vogliamo parlare.

Nato a Novara, da Carolina, piemontese e Luigi di origini pugliesi, Mari frequentò l’Accademia di Brera dal 1952 al 1956 formandosi in letteratura e arte, e approfondendo i temi della psicologia della percezione visuale. In questi anni partecipa ai movimenti di avanguardia legati al design, entrando nel gruppo dell’Arte cinetica e conosce Bruno Munari, che influenzerà parte dei suoi lavori futuri, quali 16 animali e 16 pesci.

Finiti gli studi, si dedicò subito al nascente mondo del disegno industriale, presentando il suo primo progetto al produttore di arredi milanese Danese nel 1957.

Mari applicò alla sua produzione i suoi studi personali sui temi della percezione e dell’aspetto sociale del design, della sua funzione nella vita quotidiana e del ruolo del designer nel processo industriale.

Il designer, secondo Mari, non si sarebbe dovuto limitare alla creazione di oggetti belli e forme piacevoli: l’aspetto funzionale era imprescindibile, così come lo era l’efficienza delle scelte progettuali in campo di materiali e lavorazioni: non può esservi poesia senza metodo.

A partire dal 1963 inizia l’attività didattica alla scuola della Società Umanitaria di Milano, la prima di varie esperienze di docenza continuate sino agli anni 2000 in numerosi istituti, tra cui il Politecnico di Milano, dove insegna alle facoltà di Disegno Industriale e Architettura e a Parma, dove è docente di Storia dell’Arte.

Nel 1965 cura con il suo gruppo “Nuove tendenze” la mostra di arte optical, cinetica e programmata alla Biennale di Zagabria, partecipa a numerose edizioni della Biennale di Venezia, della Triennale di Milano e diventa il designer più rappresentativo del design italiano a livello internazionale. La sua ricerca e la sperimentazione continua di nuove forme e significati dell’oggetto e del prodotto che disegna sono considerate una sorta di rivoluzione, in contrasto con qualsiasi criterio tradizionale del disegno industriale.

Nel 1971 partecipa con un intervento alla mostra “Italy: the New Domestic Landscape” al MoMA di New York. La sua identità originale di artista-designer può essere approfondita nelle pubblicazioni dedicate al suo lavoro e ai suoi contributi in interventi in importanti istituzioni, per esempio l’ADI (Associazione per il Disegno Industriale) che presiede dal 1976 al 1979. Ci auguriamo che qualche studente e studioso voglia farlo, la ricerca da fare è tanta.

Mari recupera lo slogan del movimento Arte cinetica, conosciuto anche come Arte programmata, di cui era stato esponente in gioventù: Il nostro scopo è fare di te un partner. L’utente non è più considerato un consumatore passivo, ma diventa un fruitore di un oggetto e di un processo (quello del design) in cui ha una parte attiva. Questo rivoluziona il processo economico e commerciale. Mari è molto critico verso ciò che è diventato il design, una volta conclusa l’epoca d’oro degli anni sessanta e settanta e attribuisce al marketing (tipico di una epoca in cui il neoliberismo sta mettendo le sue radici) la colpa di aver trasformato il designer da filosofo creativo in semplice interprete di tendenze.

Il curatore dell’attuale mostra, Hans Ulrich Obrist, ha affermato che «Ciò che lo infastidiva di più era che il mondo del design puntasse al profitto: voleva liberarsi di questa idea di guadagno, di commercializzazione, di industria, di marchi, persino di pubblicità. Perché, secondo Mari, il design è tale soltanto se comunica anche conoscenza». A conferma di queste considerazioni è il Manifesto di Barcellona, che Mari scrive nel 1999, in cui sostiene che è necessario ritornare alla «tensione utopizzante delle origini del design» e invoca un nuovo giuramento di Ippocrate per cui «l’etica è l’obiettivo di ogni progetto».

L’arte forte del nostro autore emerge negli anni 60 e in quel periodo inizia le più importanti collaborazioni: con le Ceramiche Gabbianelli e, in ambito editoriale, con l’editore Boringhieri. A fronte della richiesta di disegnare alcune decorazioni per delle “piastrelle di design”, Mari rifiutò di svolgere il semplice ruolo di grafico e intraprese un complesso percorso filosofico che lo ha portato a rivedere alle radici il concetto di decorazione a parete, per il quale recupera tecnologie del passato ed elabora una poetica delle forme e dei colori fatta di segni elementari. L’artista non inventa nulla, secondo Mari, o meglio, tutto è già stato pensato, scritto, progettato, disegnato. Ma va ripensato riscritto riprospettato e ridisegnato. Il suo lavoro, che sembra essere naturale ed essenziale, in realtà è frutto di grande dedizione e continua ricerca.

E a questo proposito ricordiamo le copertine di numerosi libri e collane di noti autori della casa editrice Boringhieri, che Mari disegnò e rese famosi e fortemente riconoscibili.  È sua la copertina delle Opere di Sigmund Freud e di Carl Gustav Jung, che «nella loro severa austerità – come ha scritto Alessandro Surico su “Il libraio” del 20.10.2020, il giorno dopo la sua scomparsa – sono state pensate per entrare nel canone della psicoanalisi». Troviamo geniale il fatto che Mari interpreti e rappresenti questi due noti autori in modo estremamente razionale e quasi ossessivo: rimandiamo alle foto ogni vostro commento. Cosa meglio di quelle copertine e chi meglio di Mari ha raccontato la scarsa risposta ai problemi della psiche e della vita che dettero Freud e Jung? Lontano da qualsiasi bellezza, libertà, fantasia della realtà psichica ‒ che verranno poi sancite con la teoria della nascita (1971) ‒, rispondenti e legate ancora alla concezione dell’inconscio considerato fondamentalmente perverso e inconoscibile. Allo stesso modo piuttosto razionale si presentano i tascabili della Biblioteca Boringhieri, una serie di volumi brevi e maneggevoli di una varietà di colori – unico aspetto attraente- pensati per diffondere in poche pagine l’essenza del pensiero di Freud, Jung, ma anche altri studiosi e quelli della Biblioteca di cultura scientifica, che ha avuto il merito di diffondere in Italia l’avanguardia della divulgazione scientifica; e infine l’iconica Universale Scientifica Boringhieri, nata nel 1965 (poi ribattezzata Universale Bollati Boringhieri, la famosa UBB), riconoscibile per le due bande nere in testa e al piede che talvolta, come per le opere di Freud e Jung, incorniciano un gioco grafico, all’interno del quale la stessa immagine viene riproposta – con esito angosciante, a nostro avviso – in 12 quadrati con leggeri slittamenti, ingrandimenti, sovrapposizioni ,; talvolta, per altri autori (vedi Il mondo magico di De Martino) fanno margine a una foto o una immagine.

Possiamo quindi dire che attraverso le copertine di Mari è possibile fare la storia del pensiero di un editore che è stato importante e significativo nel panorama editoriale, la cui opera, in particolare in quegli anni 60-80, oltre che per la scelta editoriale si riconosceva e distingueva per la grafica.

È lui che disegna anche per Adelphi le copertine di successo: lo stile in questo caso è  più morbido, d’altra parte non poteva essere altrimenti per una casa editrice con questo nome (per chi non lo sapesse Adelphi è una parola greca che significa  “fratelli”. Interessante sapere che in quegli anni la storia dei due editori si interseca. Ma di questo racconteremo un’altra volta.

Nel 1983 l’Università di Parma gli ha dedicato una mostra personale, grazie a una collezione di 8500 schizzi e disegni originali donati da Mari al Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’ateneo.

Opere di Mari sono esposte nei principali musei di arte e design del mondo, tra cui la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, o il Museum of Modern Art di New York o il Triennale Design Museum di Milano.

Nel 2000 ha ricevuto il Royal Designers for Industry dalla Royal Society of Arts e nell’ottobre 2002 gli è stata conferita la Laurea Honoris Causa in Disegno Industriale dalla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano.

Nel 2008 gli è stata dedicata dalla Galleria di Arte Moderna e Contemporanea di Torino una personale antologica, in occasione dell’Anno Internazionale del Design.

Concludiamo l’elenco dei riconoscimenti a questo artista così originale menzionando i 5 Compassi d’Oro che si è meritato, di cui l’ultimo alla carriera (2011).

Mari muore il 19 ottobre 2020, mentre è ricoverato in ospedale per le complicazioni dovute al contagio da Covid-19. La sua seconda moglie, la curatrice d’arte Lea Vergine, che ha trascorso con lui tutta la vita dagli inizi degli anni 60 e condivise con lui molte battaglie, lo segue il giorno dopo per le stesse cause. Un uomo che ha vissuto la vita e il suo lavoro in completa sintonia, con passione intensità ed estrema sincerità. Un grande artista insomma sul quale vorremo ritornare proprio per il suo grande contributo anche negli aspetti della grafica editoriale.

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