La Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze: tra storia e ricordi
a cura di Rossana Cecchi
Ci sono luoghi che sono importanti perché centri di storia, perché rappresentano una città, perché hanno attraversato vicende di vario tipo, perché sono per i cittadini e non solo, pieni di ricordi…
Uno di questi luoghi a Firenze è la Biblioteca Nazionale Centrale (BNCF), una delle più importanti biblioteche italiane ed europee che, insieme alla Nazionale di Roma, svolge le funzioni di biblioteca nazionale centrale. Il suo patrimonio è immenso e prezioso: possiede circa 5.948.235 volumi a stampa, 2.703.899 opuscoli, 24.991 manoscritti, 3.716 incunaboli, 29.123 edizioni del XVI secolo e oltre 1.000.000 di autografi, e conta 304.214 opere consultate all’anno 2013. Le scaffalature dei depositi librari coprono 135 km lineari, con un incremento annuo di oltre 1 km e mezzo.
E’ noto, almeno lo è alla maggioranza dei fiorentini e appassionati bibliofili, che il nucleo originario della biblioteca proviene dalle collezioni di Antonio Magliabechi, costituite da circa 30.000 volumi devoluti integralmente, secondo il lascito testamentario del 1714, «a beneficio universale della città di Firenze», e sistemati nello Stanzone della Commedia o della Dogana, che nei secoli precedenti era stato luogo di rappresentazioni teatrali e noto come Teatrino della Baldracca. Con motu proprio del 1736, Gian Gastone de’ Medici , famoso a Firenze come “Gian Gastone”, figlio di Cosimo III de’ Medici e Margherita Luisa d’Orléans, ultimo Granduca appartenente alla dinastia dei Medici, ordinava al magistrato supremo di prendere possesso della libreria Magliabechi, che diventava così la prima biblioteca pubblica fiorentina, comunemente detta Magliabechiana, ancora oggi nucleo centrale e fondamentale di questa ricchissima biblioteca. Per assicurare l’incremento del patrimonio librario il documento granducale stabiliva che vi fosse depositato un esemplare di ciascuna delle opere stampate a Firenze, obbligo esteso nel 1743 a tutti gli stampatori del territorio del Granducato di Toscana. La prima apertura al pubblico risale al 1747, con il nome di Biblioteca Magliabechiana, dopo che ne erano stati ristrutturati gli spazi ed era stata effettuata la catalogazione e l’ordinamento dei libri.
Nel 1771 il Granduca Pietro Leopoldo I di Toscana, uomo illuminato e vivace, figlio dell’imperatore Francesco I e di Maria Teresa d’Austria, fratello della celebre Maria Antonietta, regina di Francia, e di Maria Carolina, regina di Napoli, famoso per aver fatto della Toscana il primo paese ad abolire la pena di morte, dispose che la Biblioteca Palatina Mediceo-Lotaringia, costituita dalle raccolte librarie medicee e lorenesi, fosse unita alla Magliabechiana, che negli anni successivi fu arricchita da numerosi lasciti e donazioni. Nel tempo si aggiunsero le biblioteche di ordini e corporazioni religiose soppresse a partire dagli anni settanta del Settecento da Pietro Leopoldo (grand’uomo!) fino alle soppressioni napoleoniche del 1808.
Nel 1861 il ministro Francesco De Sanctis disponeva l’unione della Magliabechiana con la Biblioteca Palatina, dando vita alla Biblioteca nazionale di Firenze. Dal 1885 la biblioteca assume anche l’appellativo di Centrale. Dal 1870 riceve per diritto di stampa una copia di tutto quello che viene pubblicato in Italia ed è quindi centro fondamentale e indispensabile per ogni tipo di studi e ricerche.
Originariamente la Biblioteca aveva sede, come tutti gli uffici pubblici dell’amministrazione granducale, nei locali del complesso degli Uffizi. Dopo il trasferimento della capitale a Firenze, iniziarono le ipotesi di spostare la biblioteca in spazi adeguati; nel 1892 il bibliotecario Desiderio Chilovi e l’architetto Mansueti presentarono un progetto per i 2.700 metri quadrati concessi dallo Stato in un’area accanto a piazza dell’Olio; un altro progetto ipotizzò lo spostamento in un edificio posto tra via Vacchereccia e Por Santa Maria. Nel 1902, individuata definitivamente l’area accanto alla chiesa di Santa Croce, fu bandito un concorso per la sua progettazione: i lavori iniziarono nel 1911 su progetto dell’architetto Cesare Bazzani, successivamente ampliato dall’architetto Vincenzo Mazzei. La costruzione dell’edificio impiegò le energie cittadine di tutto il primo trentennio del Novecento, dal 1911, con l’interruzione dovuta alla Prima guerra mondiale. Il luogo scelto per la costruzione era una superficie di 10.000 metri quadrati, occupata all’epoca dalla caserma dei Cavalleggeri e compresa tra il complesso di Santa Croce, il fiume e delimitata a sud dal corso dei Tintori, una collocazione splendida sulla riva dell’Arno di fronte a piazzale Michelangelo e al Forte Belvedere. Si era pensato che la collocazione vicino al fiume potesse tornare utile in caso di incendio… non si pensò all’alluvione… La prima parte ad essere completata fu quella della “Tribuna dantesca e galileiana” posta in angolo, una parte più monumentale che funzionale; mentre le sale di lettura furono provvisoriamente collocate nel locale della libreria dell’ex convento di Santa Croce.
Il complesso fu inaugurato nel 1935: sembra che sin da allora furono evidenti alcune carenze, come gli uffici per il personale o una sede per la sezione rari ed incunaboli, probabilmente anche a causa della mancata realizzazione di un secondo edificio, che invece Bazzani aveva previsto. Tale porzione fu realizzata solo nel 1962 su progetto dell’architetto Mazzei, con la congiunzione dell’ala ovest dell’edificio con il complesso del chiostro di Santa Croce. Altre parti del progetto originario non furono mai realizzate, per le critiche allo stile non ritenuto adeguato al centro di Firenze, ed anche per motivi economici, come l’ampia piazza davanti alla facciata e prospiciente l’Arno, per la quale erano state scolpite le due statue di Dante e Galileo, poi inserite nelle due torrette in cima alla facciata.
Gli spazi interni sono organizzati secondo due assi che si incrociano nell’ampia e monumentale sala di distribuzione: quello parallelo al fiume con gli uffici, le sale per i periodici e le sale di lettura, di distribuzione e dei cataloghi, e quello che dal portico d’ingresso porta al retro, dove sono collocati i magazzini. L’impianto fortemente classicheggiante presenta numerosi archi e colonne ed uno scalone monumentale. Il salone di lettura, a pianta rettangolare, è caratterizzato da arcate sorrette da colonne con capitelli ionici. Gli spazi sono enormi e non si possono definire belli, ma per chi ci studia e lavora hanno un loro fascino. Marmi, pietra e legno si alternano in modo originale e i fiorentini e gli studiosi sono affezionati e orgogliosi di questo patrimonio cittadino. Non c’è studente universitario di materie umanistiche a Firenze che non la conosca e l’abbia frequentata, che non abbia amato quei corridoi e quel patrimonio, che non abbia passato ore nella sua Sala di consultazione e Sala di lettura senza essersi un po’ innamorato e senza forse aver amoreggiato…
Un momento in cui si parlò tanto di questa Biblioteca e che la fece conoscere al mondo fu quello dell’alluvione di Firenze del 1966: come chi ha una certa età può ricordare al tempo infatti la biblioteca divenne il triste simbolo, assieme al Crocifisso di Cimabue del vicino convento di Santa Croce, dei danni irreparabili inflitti al patrimonio culturale della città dal terribile avvenimento. E il fiume, che doveva essere amico e proteggere dagli incendi, diventò invece il nemico.
A causa della vicinanza all’Arno, infatti, gli interni dell’edificio furono completamente allagati fino all’altezza di sei metri e in particolare andarono sommersi i depositi sotterranei. I gravissimi danni, in particolare all’intera emeroteca, alla preziosa raccolta delle Miscellanee, al fondo Magliabechiano, al fondo Palatino e a numerose altre raccolte, nonché a tutti i cataloghi a schede e a volume, all’apparato bibliografico delle sale di lettura e agli arredi, furono in parte arginati dal tempestivo aiuto di quelli che furono chiamati gli Angeli del fango, un esercito di volontari in maggioranza giovani provenienti da tutto il mondo che lavorò instancabilmente, nel freddo inverno che seguì quel 4 novembre, in condizioni precarie, senza corrente elettrica, per salvare quello che era possibile salvare, recuperando i libri e mettendoli temporaneamente al sicuro in attesa di un possibile restauro. Noi fiorentini stavamo ad assistere silenziosi e riconoscenti, ognuno a pensare ai propri danni che furono per tutti gravi materialmente e psicologicamente e per anni imposero alla città di dover ricominciare….
Per farvi capire lo stato d’animo di chi lavorò a questa impresa, che coinvolse emotivamente e attivamente tutta la città e il mondo intero, ci piace ricordare il direttore della BNCF di allora, Emanuele Casamassima, uno dei più importanti bibliotecari e paleografi italiani del XX secolo, che liquidò il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, venuto in visita ai luoghi del disastro, con la famosa frase: «Presidente, ci lasci lavorare».
Una parte rilevante dei fondi danneggiati è stata così recuperata ad opera del Centro di restauro, che fu creato per l’occasione, ma una parte consistente del patrimonio librario andrò definitivamente distrutta. Il Centro di restauro è stato per molti anni un fiore all’occhiello del Ministero. Per metterlo su se ne occuparono esperti venuti da tutto il mondo. Nel portico d’ingresso si trova una targa dettata da Bruno Migliorini nel 1967 per ricordare gli Angeli del fango.
Negli anni Sessanta Diego Maltese aveva avviato la sperimentazione del trasferimento delle schede del Bollettino delle pubblicazioni italiane ricevute per diritto di stampa dalla BNCF su nastri per produrre i 41 volumi del Catalogo cumulativo (CUBI). In realtà vogliamo ricordare che alla BNCF era stato attribuito il compito di documentare la produzione editoriale nazionale già dal 1885. Nasceva così nel 1886 il Bollettino delle pubblicazioni italiane ricevute per diritto di stampa, diventato poi a partire dal 1958 Bibliografia nazionale italiana. Nel 1957 era stato pubblicato il Catalogo cumulativo, repertorio che raccoglie tutte le segnalazioni bibliografiche contenute nelle annate del Bollettino.
Dall’esperienza di Maltese, in collegamento con l’Istituto Europeo di Fiesole, negli anni Ottanta nasce il gruppo che, con l’ICCU guidato da Angela Vinay, progettò il Servizio Bibliotecario Nazionale di cui la BNCF diventa sede pilota: il servizio è volto all’ automazione dei servizi bibliotecari e alla costruzione di un indice nazionale delle raccolte librarie possedute dalle biblioteche italiane, e diventa un importante punto di riferimento per il processo di automazione di tutte le biblioteche italiane.
È a questo proposito che dobbiamo e vogliamo ricordare l’opera di Pino Ammendola che nel 1986, per la sua competenza nel campo delle nuove tecnologie, si occupò del Dipartimento automazione e seguì con competenza e passione i programmi di gestione del sistema SBN e della BNI. Ammendola nel 1989 cominciò inoltre a occuparsi della realizzazione di un nuovo sistema di servizi al pubblico: si devono al suo impegno la realizzazione del sistema UOL (Utenza on line) e delle postazioni di lavoro per gli utenti, il primo abbozzo di biblioteca virtuale, attraverso la consultazione in rete locale dei cataloghi dei più grandi istituti del mondo, l’attivazione della connessione della Nazionale di Firenze a Internet, il piano SIDIEF (Scannerizzazione di documenti e frontespizi), la digitalizzazione di importanti manoscritti conservati nella Biblioteca. È grazie anche a lui che nella BNCF si può trovare tutto e se si ha bisogno di una informazione, basta solo saper cercare per portare avanti qualsiasi tipo di ricerca. Un pozzo vero e proprio di storia e di sapere. Un patrimonio di conoscenza e dati inestimabile.
Ci piace ricordare quei corridori, dove il grigio, non triste, ma imponente, la magnificenza e lo spazio preponderavano, ma poi ogni idea di grandezza si ridimensionava con la presenza del legno e di quei tavoli sempre pieni di lettori e di luce. Luce indiretta nella parte centrale, e diretta nelle sale che si affacciano sull’Arno. Leggevi, studiavi per ore, poi talvolta la testa si alzava e gli occhi andavano al Belvedere, e la mente si lasciava andare a spaziare e incantarsi pensando al resto del mondo, che non poteva essere che lì, ad aspettarti, come il futuro.
Per continuare il racconto e avvicinarci ai nostri giorni vogliamo dire che infine la BNI, polo pilota di SBN, proprio nella seconda metà degli anni 80 decide di adottare le edizioni integrali della DDC (Decimal Dewey Classification). Con l’adozione di standard ufficiali pertanto, il gruppo BNI diretto da Gloria Ammanati, temuta responsabile, ma incredibile e instancabile colonna della Biblioteca e del gruppo di lavoro fiorentino, svolge un ruolo di riferimento all’interno di SBN, che in quel momento si cimenta con la struttura del catalogo classificato in linea, la standardizzazione del linguaggio, il corretto uso dei termini. Un lavoro delicato che impegna molti studiosi e al quale collaborano molti bibliotecari ed esperti di biblioteconomia. Attualmente la situazione è andata oltre e si può dire che è enormemente cambiata, la tecnologia ha permesso ulteriori avanzamenti e ha messo a disposizione di un maggior numero di utenti tutto il patrimonio. Non a caso oggi si parla di magazzini digitali o web archiving.
Chiudiamo questa prima parte dedicata alla BNCF, ci promettiamo di riparlane ancora in futuro, raccontando il cosiddetto l’importante e innovativo progetto Magazzini Digitali, avviato nel 2006 dalla Fondazione Rinascimento Digitale, dalle Biblioteche Nazionali Centrali di Firenze e Roma , che si è proposto di mettere a regime dal 2011 un sistema per la conservazione permanente dei documenti elettronici pubblicati in Italia e diffusi tramite rete informatica, in attuazione della normativa sul deposito legale.
La conservazione digitale presenta varie problematiche e non si esaurisce solo in procedure di natura tecnologica. Le strategie volte ad evitare la perdita dei bit o a prevenire le dipendenze dall’hardware o dal software sono infatti solo una parte del problema. Vanno tenute nel conto dovuto le implicazioni economiche, la necessità di selezionare cosa è necessario conservare per le generazioni future, gli aspetti legali legati alla normativa sul diritto d’autore, la necessità della cooperazione fra le istituzioni titolari del deposito legale.
Il nome del progetto, Magazzini Digitali, richiama naturalmente i magazzini delle biblioteche, di cui ci piace qui parlare, dalla loro antica creazione ad oggi, in quanto titolari del deposito legale. Per molti aspetti i magazzini digitali sono comparabili a quelli convenzionali: le risorse digitali devono essere conservate indefinitamente; i magazzini digitali crescono man mano che si aggiungono nuove risorse; modifiche o cancellazioni di risorse non sono di norma possibili; è impossibile predefinire la frequenza d’uso delle risorse, alcune delle quali magari non saranno mai utilizzate. Comunque essi rappresentano la storia, la nostra storia e offrono possibilità di ricerche, riflessioni, testimonianze infinite.
Con la Biblioteca nazionale quindi si può parlare di un vero e proprio archivio del libro perché, avendo il diritto di stampa, possiede tutto quello che è espressione della nostra cultura. Non c’è cosa che sia stata pubblicata in Italia, anche minore (volantini, manifesti, programmi di sala dei concerti, elenchi del telefono, vecchi stradari, pubblicazioni dei ministeri…), che non arrivi alla Nazionale. Qui è conservato tutto, tutto quello che non si trova in altre biblioteche…
Potremmo dire che è il luogo dove il comprendere, la ricerca e la conoscenza possono esplicarsi alla massima potenza, dove il diritto alla conoscenza è concretamente diritto di tutti.
www.bncf.firenze.sbn.it/biblioteca
Si ringrazia per la collaborazione e infinita amicizia, iniziata molti, molti anni fa, Francesca Iannaco e Patrizia Giannelli per le splendide e generose foto.